la cultura dell’Ordine

I QUADERNI DELLA COMMISSIONE CULTURA DEGLI ARCHITETTI DI MONZA E BRIANZA

In senso antropologico, CULTURA è il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali.

ItinerareVENEZIA 17 giugno 2023

La BIENNALE di ARCHITETTURA 2023 The Laboratory of the Future

Alla Biennale va in scena l’architettura decolonizzata

 di Pierluigi Panza – Corriere della Sera del 18 maggio 2023

Decolonizzare il mondo, ma poi? C’è una frase di Anatole France all’ingresso dell’Arsenale, dove è ospitata una parte della XVIII Biennale di Architettura intitolata The Laboratory of the Future, che spiega a cosa siamo davanti: «Dobbiamo morire da una vita per entrare in un’altra». Quest’altra, per chi vuole pianificarla per i nipotini, è ecoafricana, ibrida, fluida, carbon-free ma… mancherà anche lo sciacquone? Al Padiglione finlandese, infatti, spiegano che il 30% del consumo dell’acqua se ne va per lavar via le feci che, se raccolte con la toilette a secco, potrebbero servire per la concimazione. Dunque leggiamo questa Biennale di architettura africana e della diaspora africana, una Biennale di giovani e impegnate ragazze nere (quasi una risposta alle influencer occidentali all blonde), partendo da dove ci aveva lasciato l’Essai sur l’Architecture dell’abate Marc-Antoine Laugier (1755) con la sua «capanna primitiva», modello di tutte le architetture. In Occidente, quest’archetipo si è evoluto con l’Illuminismo e, poi, con la Rivoluzione industriale e la civiltà dei consumi, che ha saccheggiato le risorse e si è imposta come istituzione totale al servizio del colonialismo. Per la curatrice Lesley Lokko possiamo uscire dall’ultrasbandierata apocalisse ecologica affidandoci alla nuova iterazione africana, che non avendo abbracciato Illuminismo e Capitalismo riparte dalla «capanna» di Laugier e appare comunitaria, sodale e con passione per l’ingegneria digitale. —In questa prospettiva finiscono fuorigioco Storia, il Moderno (solo il Padiglione del Victoria & Albert presenta il «Modernismo tropicale») e il palinsesto vitruviano (i Cinque ordini vengono ridicolizzati dallo Studio Barnes di Miami). Vengono altresì messi alla porta, forse con beneficio, l’architettura come disciplina autonoma e autoreferenziale e lo stilismo delle archistar con le loro astronavi di design calate dai fondi di investimento nelle nostre aree urbane. Non solo l’archistar ma l’architetto proprio non c’è più: è diventato un operatore di un gruppo che progetta pratiche ibride e complesse. In mostra infatti ci sono pochi progetti e molte installazioni, filmati, maquette di gruppi di giovani practitioner nei quali il “designer” si accompagna con registi, comunicatori, archi elogi, sociologi, divenendo un braccio esemplificato di una riflessione per cambiare il mondo, più che gli spazi e le forme.

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