Pillole di architettura

Rubrica un materiale un edificio  – Corriere della Sera –  20/11/2020

Sicurezza e luminosità – La casa tutta in vetro di Mies van der Rohe

di Marco Vinelli

Il vetro è uno dei materiali più antichi e diffusi, eppure è solo da poco tempo che è diventato un «materiale da costruzione» a tutti gli effetti.

Certo, per secoli è stato impiegato come elemento di chiusura per le finestre e le porte ma è da alcuni decenni che è diventato elemento costruttivo dell’architettura, sostituendo la classica muratura in legno o mattoni e garantendo, allo stesso tempo, prestazioni elevate in termini di isolamento termico, sicurezza, luminosità.

Negli uffici, in primis, con le facciate continue, magari specchianti all’esterno, per diminuire l’irraggiamento solare o gli sguardi indiscreti ma anche nelle dimore private, in tutti i casi dove è richiesta luminosità o vista su un bel panorama.

Tra le prime realizzazioni con questo materiale, la Casa Farnsworth realizzata da Ludwig Mies van der Rohe per Edith Farnsworth.

La costruzione sorge su un terreno a ridosso del fiume Fox, a una ottantina d chilometri da Chicago, ha la forma di un parallelepipedo sopraelevato su otto corti pilastri per preservarlo dalle esondazioni del fiume ed è costituita da tre piattaforme in cemento armato che formano il pavimento e la copertura.

Le pareti sono interamente realizzate con lastre di vetro, da terra al soffitto, senza alcuna interruzione. All’interno un nucleo centrale racchiude gli armadi e i servizi, dal momento che non è possibile accostare gli arredi alle pareti. come avviene solitamente.

La casa venne consegnata nel 1951 e la committente, appena preso possesso iniziò a lamentarsi per la scarsa ventilazione e per la assoluta mancanza di privacy, aggravata dal fatto che l’edificio era meta di pellegrinaggio di studenti e appassionati provenienti da tutto il mondo, attirati dai giudizi della critica e dalla fama di Mies Van der Rohe, una delle archistar dell’epoca.

 

Pillole di architettura

Rubrica un materiale un edificio  – Corriere della Sera –  20/11/2020

L’acciaio di Foster con la leggerezza delle chiese gotiche

di Marco Vinelli

Per mollo tempo, il ferro, l’acciaio, è stato considerato il materiale della modernità in architettura. A partire da Eiffel, quando lo impiegò per realizzale la torre che domina Parigi.

A dare il «la» a questa tendenza sono stati i grattacieli, simbolo delle metropoli americane durante tutto il secolo scorso. Per raggiungere traguardi sempre più alti non era possibile impiegale i mattoni o il cemento armato perché le sezioni portanti, richieste alla base, avrebbero occupato tutto lo spazio disponibile. Così è stato necessario guardare altrove, in direzione dell’acciaio che, a quel punto, rimane a vista, non viene rivestito o nascosto bensì ostentato, regalando agli edifici un’aura hi-tech. Ma non basta impiegale un materiale «moderno»: bisogna anche saperlo trattare.

Un maestro, in questo campo, è sir Norman Foster, che lo ha impiegato (e lo utilizza tuttora) in numerose realizzazioni, in abbinamento con il vetro, per accentuare il carattere di «leggerezza», di snellezza delle strutture, sorta di cattedrali gotiche in versione 5.0.

Uno dei suoi progetti più famosi è la sede della Hong Kong & Shanghai Bank che sorge a Hong Kong, su un lotto di circa 5.000 mq nel Central District.

Si tratta di una torre alta 179 metri, con 47 piani fuori terra e 4 interrati.

La struttura in acciaio è rivestita con pannelli modulari in alluminio grigio e pannelli metallici argentati per ombreggiare la facciata. L’atrio, alto 52 metri può accogliere 3.500 persone. La flessibilità della struttura è stata verificata nel 1995, quando è stato aggiunto un nuovo piano commerciale che ha richiesto sole 6 settimane di lavoro per l’allestimento. Si tratta di uno degli edifici più costosi mai realizzati, in parte a causa del costo esorbitante del terreno a Hong Kong. Due imponenti scale mobili rappresentano lo spazio di transizione tra l’atrio (pubblico) e gli uffici della banca (privato).

II grattacielo sede della Hong Kong Shanghai Bank, progettato da Norman Foster

Ridisegnare la società. Insieme. Dibattito pre-COVID.

Corriere della Sera Design – martedì 17 aprile 2018

Perchè progettare nell’era digitale significa fare buon uso dell’intelligenza collettiva. Il buon design può aiutarci a dominare la complessità. 

E’ una citazione di Don Norman,  padre dell’human-centred design e direttore del Design Lab dell’Università di California a San Diego.   Righe contenute nel suo saggio Vivere con la complessità, che offrono un indizio utile a destreggiarci nell’ambiente iperconnesso e apparentemente frammentario nel quale viviamo.

Un esempio. L’esigenza sempre crescente di mobilità e l’abolizione del confine fra tempo del lavoro e tempo libero ha reso imprescindibili gli smartphone che, ogni anno, si fanno più leggeri, performanti, intelligenti.

Questo stravolgimento ha trasformato il pensiero progettuale. Per certo possiamo dire che è tramontato il sogno di un design taumaturgico, capace cioè di risolvere i problemi, a favore di un re-design che è produttivo di idee  e servizi virtuosi per la società.

Le risposte ai bisogni della società prendono corpo attraverso software e applicativi dove partecipare, condividere  progettare soluzioni eterodosse, che accolgano i diversi punti di vista della comunità.

E’ il caso di If You Want To (iywto.com), piattaforma collaborativa ideata da un’antropologa per raccogliere e promuovere progetti digitali mirati a ridurre lo sfruttamento dell’ambiente e a favorirne la rigenerazione.

Volendo tracciare il senso del re-design possiamo dire che deve essere necessariamente empatico, cooperativo, interdisciplinare, flessibile, creativo, inclusivo.

L’idea dell’Industrial Design che doveva migliorare la qualità della vita grazie ad oggetti il cui fine ultimo era regalare bellezza sembra lontana anni luce, così come è sbiadito l’identikit del designer solitario e geniale.

Maria Grazia Mattei

 

Film per architetti

migliori film che raccontano l’architettura lo possono fare esplicitamente, attraverso biografie e documentari, più spesso ricorrendo alla sapiente discrezione dell’arte scenografica.

Urbano | Umano

Il tema approfondisce il rapporto tra cinema e architettura che è inscritto nelle origini della settima arte e della città moderna. Lo spazio urbano, del resto, è sempre stato un set privilegiato per quelle affinità elettive che legano lo sguardo mutevole del cinema alla città e ai suoi ritmi percettivi.

Dagli esordi del cinema ai nostri giorni ci sono stati molti cambiamenti: la città non è più esaltata insieme ai suoi ritmi moderni, ma è oggetto di una critica ragionata che mostra contrasti insiti nella relazione tra umanità e urbanità.

My architect. Il viaggio di un figlio, regia di Nathaniel Kahn, 2003.

Il ventre dell’architetto, regia di Peter Greenaway, 1987.

Metropolis, regia di Fritz Lang, 1927.

Koyaanisqatsi, regia di Godfrey Reggio, 1982.

Caro Diario, regia Nanni Moretti, 1993.

Il cielo sopra Berlino, regia di Wim Wenders, 1987.

L’odio, regia di Mathieu Kassovitz, 1995.

Futurismo, regia di Marcel L’Herbier, 1923.

Blade Runner, regia di Ridley Scott, 1982.

Rocco e i suoi fratelli, regia di Luchino Visconti, 1960.

Mamma Roma, regia di Pier Paolo Pasolini, 1962.

Manhattan, regia di Woody Allen, 1979.

Professione Reporter, regia di Michelangelo Antonioni, 1974.

Le mani sulla città, regia di Francesco Rosi, 1963.

2001: odissea nello spazio, regia di Stanley Kubrik, 1968.

La fonte meravigliosa: il film su Frank Lloyd Wright, 1949.

A Milano si presenta la Carta dello sviluppo urbano

Flussi, crescita sostenibile, in a sostenibile, inclusione: l’architettura può costruire comunità. «Le città italiane nello sviluppo urbano. «Le città italiane modello per il mondo»

MilanoLe parole chiave sono le parole del futuro: sviluppo responsabile, rigenerazione urbana, ecosostenibilità, integrazione, inclusione. E l’idea di architettura non è più solo quella di una sequenza di spazi formalmente perfetti, ma di una «disciplina» capace di produrre anche buone pratiche e buoni comportamenti.  Undertaking For Great Cities, la carta siglata da Manfredi Catella, Stefano Boeri, Elizabeth Diller, Gregg Jones, Lee Polisano, Carlo Ratti, Cino Zucchi (membri del Coima City Lab,think-tank per lo sviluppo di spazi urbani sostenibili e resilienti dedicati a favorire rinnovazione in Italia) e Chris Choa che sarà presentata oggi a Milano nel corso dell’ottavo Coima Real Estate Forum, vuole dare prima di tutto «un segno morale di impegno personale per realizzare città straordinarie per tutti e rispettose dell’ambiente». 

Si tratta di una Carta «che stabilisce linee guida per lo sviluppo responsabile dei progetti urbanistici del futuro» rivolta ad architetti, sviluppatori e istituzioni pubbliche «che stabilisce standard quantitativi e qualitativi per lo sviluppo di progetti di rigenerazione urbana sostenibili».

                       

Cinque miliardi di euro di investimenti responsabili previsti nei prossimi 5 anni di cui oltre 2 miliardi già in fase di realizzazione. Una Carta importante, ha detto Diller —«perché l’architettura è oggi più che mai lo specchio di come cambia la società e di quello che un cambiamento ragionato può produrre». Come dimostra il tratto dell’High Line di New York, nell’area di West Chelsea, progettato proprio dallo studio Diller, Scofidio + Renfro (lo stesso che ha firmato il «nuovo» Moma appena inaugurato) diventato ormai una vera e propria macchina capace di generare attività sociale.

Tutto sembra nascere dalla convinzione che «i flussi migratori dei prossimi decenni qualificheranno le città tra le infrastrutture fisiche più importanti del pianeta richiedendo un approccio responsabile alla rigenerazione urbana che sappia conciliare ambiente e comunità, integrando innovazione e affrontando temi fondamentali come l’inclusione sociale».

«Questa Carta rappresenta un codice di comportamento da adottare per una rigenerazione urbana responsabile che possa partire proprio dalle città italiane come esempio per tutte le città del mondo» ha commentato Catella, fondatore e amministratore delegato di Coima.

Le linee guida tracciate prevedono che il disegno e la gestione di progetti di rigenerazione urbana dovranno essere a servizio del bene comune, creare un’identità, generare un senso di «luogo», integrarsi con il resto del territorio, seguire i cambiamenti e durare nel tempo, contribuire a un ambiente più sano, incoraggiare l’integrazione, promuovere la biodiversità e la cultura green.

Un segnale positivo che arriva proprio mentre Porta Nuova a Milano sta per affrontare la fase 2 della propria riqualificazione. A firmarla sarà lo studio Citterio-Viel: 150 mila metri quadrati e 20 mila di spazi pubblici sono un bacino su cui interverrà la parte finale della riqualificazione di Porta Nuova, fatta non solo di bei progetti isolati come cattedrali nel deserto, ma che (come è già successo con il Bosco Verticale) potranno essere di stimolo per la rinascita del- l’ex-Scalo Farini. Un effetto domino che sa già di futuro.

Stefano Bucci – Corriere della Sera di giovedì 24 ottobre 2019

 

 

Milano Fuori Salone

 

 Filicudi

Marcantonio (Raimondi Malerba) design

In questa edizione c’è stata tanta ecosostenibilità. Innanzitutto, i luoghi degli eventi. Nasce il primo distretto diffuso. Divisi in sette spazi dislocati in sei zone diverse della città, queste aree sono state recuperate e ristrutturate, attraverso esposizioni ed istallazioni di design che, al termine del Salone, non verranno smantellate ma verranno donate ai cittadini per attività di quartiere, culturali e sportive. Oltre a ciò, il progetto DOS, Design Open’ Spaces, è questo il nome dell’iniziativa, prevede che alcune di queste aree abbiano una “rigenerazione green”.

Al fuorisalone si è parlato anche di architettura circolare, grazie a materiali sostenibili riciclati, come l’alluminio ed il legno. Architetti, artigiani, artisti, designer indipendenti e makers propongono idee, progetti e prodotti innovativi, legati anche alla sostenibilità, sia per le materie prime utilizzate che per le applicazioni di uso. Tutto nel rispetto dei dettami di Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Di grande richiamo invece le istallazioni con materiali riciclati o ad impatto ambientale zero. Il tulipier americano, per esempio, un tipo di legno, immagazzina corpose quantità anidride carbonica ed ha una crescita molto rapida.

Bauhaus Spirit

 
venerdì 29 marzo 2019 – Trailer

Un documentario che omaggia la visione utopica e radicale di Walter Gropius, che ha cercato di unire scultura, pittura, design e architettura in un’unica disciplina costruttiva nella sua famosa scuola, il Bauhaus

https://www.mymovies.it/film/2018/bauhaus-spirit/news/il-trailer-italiano-del-film-hd/

Il Bauhaus, celebre scuola di Architettura, Arte e Design della Germania, venne fondato da Walter Gropius e durò esattamente quanto la repubblica di Weimar (1919-33). Rappresentò il punto di riferimento fondamentale per tutti i movimenti d’innovazione legati al razionalismo e al funzionalismo, tanto da essere considerato “il movimento moderno”. Il fatto di associare la didattica alla fabbricazione risponde all’esigenza di integrare il sostegno economico relativamente modesto che l’amministrazione pubblica riconosceva alla scuola. E’ dall’indirizzo formativo che nasce l’azione produttiva:

l’Arte, l’Azione, il Lavoro.

Flying Houses by Laurent Chéhere

The Flying Houses è una serie del fotografo francese Laurent Chéhère , ispirato a Menilmontant – un quartiere povero e cosmopolita di Parigi, dove vive. Le immagini raccontano poeticamente e sottilmente la storia di una “realtà contemporanea rivelando le preoccupazioni di una classe impoverita dalla società”. Laurent isola questi edifici dal loro contesto urbano, li rilascia nel cielo, racconta le storie, i sogni e le speranze di questi abitanti. Le immagini sono fotomontaggi di centinaia di elementi che cattura per riunirli in seguito come un puzzle. A prima vista, appaiono spensierati e sognanti, a un esame più attento, i dettagli rivelano una storia più complessa.

 Nel secolo XIX Napoleone III e il suo urbanista di fiducia, il barone Haussmann, trasformarono Parigi in una serie di interminabili vialoni di tediosa armonia, distruggendo i resti della città medioevale. Tra questi un edifichi dietro la chiesa di St. Germain-l’Auxerrois, con la torretta da castello di principessa, che è stata recuperata a partire da una foto del 1866.

Aggiungendo dettagli che danno l’idea di una trasvolata nel tempo, graffiti dei giorni nostri e molti dettagli, Lurent Chéhere, artista parigino classe 1972, realizza una serie di Maisons Volantes, con cui dal 2012 raffigura temi che gli stanno a cuore: architettura e urbanistica, immigrazione e povertà, ma anche cinema, politica, storia e street art.

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