Ridisegnare la società. Insieme. Dibattito pre-COVID.

Corriere della Sera Design – martedì 17 aprile 2018

Perchè progettare nell’era digitale significa fare buon uso dell’intelligenza collettiva. Il buon design può aiutarci a dominare la complessità. 

E’ una citazione di Don Norman,  padre dell’human-centred design e direttore del Design Lab dell’Università di California a San Diego.   Righe contenute nel suo saggio Vivere con la complessità, che offrono un indizio utile a destreggiarci nell’ambiente iperconnesso e apparentemente frammentario nel quale viviamo.

Un esempio. L’esigenza sempre crescente di mobilità e l’abolizione del confine fra tempo del lavoro e tempo libero ha reso imprescindibili gli smartphone che, ogni anno, si fanno più leggeri, performanti, intelligenti.

Questo stravolgimento ha trasformato il pensiero progettuale. Per certo possiamo dire che è tramontato il sogno di un design taumaturgico, capace cioè di risolvere i problemi, a favore di un re-design che è produttivo di idee  e servizi virtuosi per la società.

Le risposte ai bisogni della società prendono corpo attraverso software e applicativi dove partecipare, condividere  progettare soluzioni eterodosse, che accolgano i diversi punti di vista della comunità.

E’ il caso di If You Want To (iywto.com), piattaforma collaborativa ideata da un’antropologa per raccogliere e promuovere progetti digitali mirati a ridurre lo sfruttamento dell’ambiente e a favorirne la rigenerazione.

Volendo tracciare il senso del re-design possiamo dire che deve essere necessariamente empatico, cooperativo, interdisciplinare, flessibile, creativo, inclusivo.

L’idea dell’Industrial Design che doveva migliorare la qualità della vita grazie ad oggetti il cui fine ultimo era regalare bellezza sembra lontana anni luce, così come è sbiadito l’identikit del designer solitario e geniale.

Maria Grazia Mattei

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *